Paesaggio dagli Scafani

Di alcuni insediamenti pastorali nel territorio di Morano: gli Scafani

Chi percorra l'A2 fra Morano e Campotenese noterà un enorme cartello sul quale campeggiano due righe, "Parco del Pollino" e "Caciocavallo silano". Più che di segnaletica il cartello sembra svolgere la funzione di una lapide: qui sono sepolte ignote la storia e le tradizioni di un territorio senza identità, che ha abbandonato le direttrici del passato senza tracciare alcuna via nuova, e che perciò, come si dice a Napoli, ha fatto la fine del caciocavallo.

A Napoli, e in tutto il Regno, come sarà con i Savoia per un cinquantennio circa, godevano di grande reputazione i latticini del Pollino, in particolare i "famosi ottimi formaggi detti cacio cavalli, molto decantati dai gastronomi" (Enciclopedia Utet, 1870).

Sarebbe lunga la lista dei volumi e degli autori che citano la produzione casearia nostrana, e ininterrotta sino alla fine dell'Ottocento. Tutti convergono sulle ragioni di quell'eccellenza, legata agli "abondevoli" e "perfetti pascoli" - come li descriveva l'Anania nel 1573 -, nei quali, citando il Tufarello, in virtù delle "herbette aromatiche" il "detto cascio vien ad esser si odorifero, e dolce nel sapore ".

Morano si distingueva nella produzione dei caciocavalli, dal latte vaccino, e in quella del cacio marzatico, un pecorino prodotto in primavera.

Fra i pascoli limitrofi a Campotenese erano gli Scafani, delimitati dal Colle della Cerzulla a est, dai Colli Lunghi a sud, dalla cima del Cappellazzo e dal Cozzo di Punginera a ovest, e chiusi a nord dal Paravisello.

Mappa

In articoli su Campotenese avevamo sottolineato la presenza di una toponomastica poco rassicurante, con il diavolo, l'Anticristo, le "catarozze", gli scannati e gli afforcati1, le baionette e i comandanti; qui prevale invece l'elemento descrittivo e naturale con connotazioni positive che culminano nel "Piccolo Paradiso".

Gli Scafani furono interessati da insediamenti pastorali sin dall'antichità. Lo stesso toponimo, ricondotto da Rohlfs al dorico "σκάφη", 'vasca, truogolo', potrebbe essere indicativo in tal senso suggerendo la presenza di abbeveratoi (e erbaggi), in un'area ricca di acque sorgive, seppure non si possa escludere che sul nome abbia influito anche la conformazione fisica del territorio.

Nel '500 gli Scafani figurano nell'elenco dei terreni demaniali montani e dell'Università di Morano in cui i moranesi avevano diritto di pascolo, di attingere acqua, di pernottare con le proprie greggi o mandrie, di tagliare legna verde o secca da bruciare o per altri usi. Le cavità rocciose del terreno carsico costituivano ricoveri già pronti, e d'altra parte l'abbondanza di pietre offriva un immediato e non deperibile materiale da costruzione.

Se si esclude il riferimento nella Platea del Della Valle del 1546, non si dispone per il passato di testimonianze su questa zona, lambita nella parte bassa dall'antico tracciato viario che risaliva da San Paolo e passava nei pressi dell'Ospedaletto; non ne fanno menzione gli storici locali e non si trova alcun cenno negli scritti dei viaggiatori e dei botanici che visitarono e scrissero del Pollino.

In assenza di notizie relative ai secoli scorsi, possiamo guardare alla situazione presente.

L'esame e il confronto di immagini satellitari a partire dal 1988, attraverso il Geoportale, Google Maps e Earth, mostra la marcata antropizzazione in chiave pastorale.

Tutta l'area è interessata da strutture composite in pietra a secco, fatte di recinti e capanne a tholos addossate a pendii e per lo più esposte a valle.

I recinti sono prevalentemente a due celle; i tholos ancora distinguibili, per alcuni dei quali si coglie la tridimensionalità nelle immagini dal 1988 al 2012 (anno di intensa attività sismica), via via nelle visioni aeree recenti si appiattiscono e sono identificabili oggi per la maggior parte, dall'alto e in loco, solo da evidenti cumuli circolari di pietre, se la coltivazione dei terreni non ha portato alla loro rimozione.resti di pagliari

resti di pagliari

La vista dall'alto evidenzia anche altri interventi, interpretabili come terrazzamenti. Resta visibile per qualche decina di metri un vecchio tracciato rimarcato anche da un muretto di sottoscarpa, il cui percorso non è identificabile. Oltre alla sovrapposizione di strade sterrate successive, quest'area ha subito stravolgimenti per il passaggio di due linee del metanodotto,la prima negli anni '80 e l'altra una quindicina di anni fa.

In prossimità delle capanne era una costellazione di altri manufatti a tholos più piccoli, anche a gruppi, che svolgevano la funzione di ricoveri per gli animali2 e presumibilmente anche di magazzini per la stagionatura e la conservazione dei formaggi.

Un solo rifugio è preservato nella sua interezza (foto in apertura di articolo e le tre seguenti), in cattivo stato di conservazione - una richiesta di intervento è stata inviata all'Ente Parco e alla Sovrintendenza da cui non è giunto alcun riscontro. A differenza degli altri non è in pietra a secco ma presenta una malta povera che potrebbe far pensare a un rifacimento successivo; da annotare che nelle immediate vicinanze passa una conduttura idrica3.

Il periodo di costruzione di questi ricoveri, presenti non solo agli Scafani ma in tutta la fascia dalla Cerreta a Donna Carda e dall'altro versante di Campotenese, anche per uso agricolo, non è noto. La loro sistematicità e il numero cospicuo agli Scafani rimanda a un periodo di intensa attività pastorale escludendo tempi più recenti.

1. Il toponimo "cerro afforcato" presenta anche la variante "celafforcato" che indurrebbe a pensare a un originario "afforcato", peraltro abbastanza comune, riferito a un'impiccagione piuttosto che a una pianta.

2. Come le pecore gravide e i loro piccoli nei primi giorni di vita. Ci diceva l'allevatore Giuseppe Barletta della necessità di tenere separate le pecore soprattutto in caso di parto gemellare, quando la madre non può prendersi immediatamente cura del primo nato e non lo riconoscerebbe né lo allatterebbe se venisse in contatto, prima che con lei, con il resto del gregge.

3. Risalente, ci suggerisce Roberto Berardi, al 1915.

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L'articolo, frutto di una ricerca svolta nella primavera del 2019, è stato pubblicato per la prima volta sulla pagina facebook di Tracce di Storie nell'aprile del 2020, a quella si rimanda per altri contributi video e fotografici.